Le angosce del capo.

Psicologia = Strategia

Organizzare con metodo psioclogico
La forza della psicologia

 

 

 

 

 

La Psicologia nel mondo del lavoro  un argomento pubblicato  il  10/07/2013  sul mio BlogVision  con il titolo << Il lavoro Psicologico dei Management Aziendali >>. Come affermavo in questo articolo nel link https://itpaservicepad.altervista.org/il-lavoro-psicologico-dei-management-aziendali-2/ su questo Blog Vision è un fattore importante da non sottovalutare a tutti i livelli nel mondo del lavoro.”

“Un lavoro psicologico serve ai Sales Manager o un Agente di vendita per convincere un nuovo acquirente a investire su un prodotto offerto dalla società dove si lavora.”

La Psicologia  che si manifesta con le ansie dei risultati da ottenere per forza
Lo stress di mantenere i valori raggiunti.

“Un nuovo ruolo secondo me manca nelle società è quello del Personal Coach e Persona Technical Expert.Il ruolo di questa persona sarà quello si sapere lavorare e dare un confronto  a livello Psicologico e Tecnico nei momenti di difficoltà che il  capo dei Manager si trovi in alcune situazioni , che come leggerete nel articolo non  si possono trovare in alcune persone a lui vicine perchè non potrebbero essere d’aiuto per  i motivi che scoprirete nel articolo.

Aver paura dei superiori non è certo un fenomeno raro. Meno banale è che anche i dirigenti debbano fare i conti con la paura, l’ansia e gli attacchi di panico. È tempo di sfatare il mito del capo onnipotente!

“Ai livelli di vertice ansie e paure si manifestano spesso solo in maniera mascherata.

II timore di non riuscire a soddisfare Ie aspettative proprie e altrui sottopone i top manager a una pressione continua.

Diffidenza, invidia, distanza e competizione: i manager sprecano molto tempo a farsi le scarpe a vicenda.

Dì fronte a stati ansiosi acuti o cronici I manager spesso preferiscono rivolgersi

a un coach piuttosto che a un terapeuta.”

“Un lavoro psicologico è utile anche ai capi o dirigenti delle società che come leggeremo  da questo articolo di Eva Tenzer recuperato dalla rivista “Psicologia Contemporanea.”

“Il racconto dei problemi di un capo in questo racconto………………”

Le angosce del capo.

Hartmut Ostrowski era CEO di quell’impero editoriale che è la

Bertelsmann , finché nel 2011 rassegnò spontaneamente le dimissioni.

Quello che racconta degli anni passati alla testa di un’azienda con

100 000 dipendenti suona insolito per un uomo nella sua posizione: stanco, esaurito, soffriva di angosce continue.

Intervistato dal settimanale economico Brand Eins, ha confessato: «È stato un

periodo molto difficile, uno stress che mi ha causato anche problemi psicosomatici,

per esempio un senso di oppressione, palpitazioni improvvise, stati ansiosi

spinti fino ad attacchi di panico.

In questi casi la sfida per un manager è che deve farci i conti per così dire in

corsa. Dovevo dirigere sedute di consiglio senza lasciar trasparire nulla».

Recentemente anche altri manager di altissimo livello hanno messo in crisi

l’immagine diffusa del capo forte, padrone di sé, invulnerabile. In Svizzera

ha fatto rumore l’aumento dei suicidi tra i vertici azienda li: Carsten Schloter,

capo della Swisscom; Pierre Wauthier, direttore finanziario dello Zurich Insurance

Group; Adrian Kohler, CEO della Ricola; Alex Widmer, presidente della

banca Julius Bar. Anche in Giappone e negli Stati Uniti si contano molti casi

del genere; in Germania il più sensazionale è stato il suicidio del l’industriale

farmaceutico Adolf Merckle.

Il problema dello stress dei quadri dirigenti è oggetto di discussione non

solo in Svizzera. I suicidi infatti sono solo la punta dell’iceberg.Molti manager

per sfuggire alla pressione eccessiva si ritirano, come Ostrowski, in posizioni

più defilate, o vanno in pensione. Ma la maggioranza rimane a bordo e deve

vivere con le sue angosce. Tutto ciò contraddice l’immagine dell’uomo d’azione

dai nervi d’acciaio, che supera disinvoltamente

ogni ostacolo e non teme nessuna sfida. I capi dovrebbero essere

lucidi e concreti, e la paura dovrebbero semmai ispirarla agli altri, non soffrirne loro stessi.

Ma, contrariamente a questo stereotipo, ansie e paure fanno parte della vita.

Nessuno ne è esentato. E proprio le posizioni di vertice comportano, oltre

al potere, pesanti responsabilità: per la propria reputazione, per i collaboratori, per l’impresa nel suo complesso. La concorrenza spesso fa un gioco duro e

non a caso in tutti i settori i piani alti sono popolati di squali.

È ovvio che in un ambiente del genere il rischio dierrori, sconfitte e brutte figure susciti

paure enormi.

Ma di questo si parla malvolentieri, perché equivarrebbe a confessare una

debolezza, come ben sa Siegfried Greif.

Professore emerito di psicologia del lavoro e delle organizzazioni all ‘Università

di Osnabruck, oggi Greif dirige la sezione Change Management and Coaching

dell’Istituto di ricerche e consulenze di psicologia aziendale presso la stessa Università.

Nella sua attività di coach specializzato nel lavoro con i quadri dirigenti

vede di continuo confermata la resistenza ad ammettere ansie e paure:

<<A quel livello la cosa proprio non va. Molti sono orgogliosi del proprio ruolo di manager,

come ragazzi che dicono: “Ce la faccio da solo e non ho paura di nulla”.

Ma soprattutto nei processi di rapida innovazione i manager sono sottoposti a

una forte pressione. Pensano che quando si devono prendere decisioni rapide

non ci sia posto per Ie ansie. Ma naturalmentele ansie ci sono>>. Proprio le

decisioni d’emergenza, quelle che Greif chiama “alla desperado”, sono particolarmente stressanti e angosciose, e i costi accessori sono pesantissimi.Anche Christopher Rauen, docente a contratto presso Ie Universita di Friburgo,Hannover, Flensburg e Osnabruck, che spesso come coach ha a che fare con Ie ansie dei manager, nota che e uno dei temi più sgradevoli da affrontare per i dirigenti : «Le ansie», dice,

«sono vissute come un elemento di disturbo,represse, ignorate, anestetizzate e negate».

Ciò soprattutto negli ambienti dove queste emozioni sono considerate

socialmente indesiderabili, quando non vengono addirittura stigmatizzate o

Secondo I’esperienza di Rauen, ai i ivelli di vertice ansie e paure si manifestano

spesso so lo in maniera mascherata,come aggressività, attivismo,

evitamento, arroganza, o sotto forma di una clima aziendale improntato ad una

freddezza impersonale. Tutti comportamenti che a loro volta causano stress e

quindi finiscono per generare altre angosce,osserva Rauen .

Sintomi tipici di questa ansia mascherata sono disturbi psicosomatici, la sensazione di essere

continuamente in balia della corrente,talvolta un comportamento rinunciatario.

Rauen definisce “paura mascherata”tutte queste diverse risposte a una

situazione percepita come minacciosa.

MA DI COSA HANNO

PAURA i CAPI?

Quanto sono diffuse Ie ansie al vertice della piramide, e cos’e che

davvero fa paura a queste persone,che pure siedono nella stanza dei

bottoni? A queste domande la ricerca finora non ha dato molte risposte, perchè

il tema non e stato abbastanza studiato:

«Conclusioni attendibili sullo sviluppo e diffusione del fenomeno non sono possibili»,

dichiara Siegfried Greif. «Esistono solo poche ricerche, su campioni

molto ridotti ». Gabi Harding, psicologa del lavoro e del le organizzazioni, denuncia

addirittura una ” ignoranza scientifica”sul l’argomento, del quale si e occupata

nella sua tesi di laurea, passando in rassegna la letteratura esistente e

intervistando imprenditori e dirigenti sulIe loro ansie e paure. II campione anche

in questo caso e piccolo (18 soggetti),ma, utilizzando il metodo della Ground

Theory, Harding e riuscita nello scopo di sviluppare anzitutto uno schema teorico

che permette di formulare ipotesi da verificare mediante campioni più

rappresentativi.

Tutti gli intervistati occupavano posti di vertice nelle loro imprese.

Queste rappresentavano i rami più diversi, dal commercio e marketing all’industria pesante.

II protocollo delle interviste copriva molti aspetti delle ansie manageriali ,

raccolti da Harding in tre forme principali: la paura dell’ignoto, la paura

dell’insuccesso, la paura di perdere I’attuale livello di vita.

Paura dell’ignoto. I manager hannopaura di perdere il controllo del la situazione

a causa di eventi inattesi. Ciò non meraviglia in quel tipo di professione,

ed e strettamente legato alia padronanza cui i dirigenti sono tipicamente

abituati: «Temono Ie situazioni in cui devono fare i conti con fattori imponderabili

e non hanno più il controllo totale degli eventi. A un manager non

deve capitare niente fra capo e collo.

Tanto meno la paura», riassume Harding in base alle dichiarazioni raccolte.

Questo tipo di scenario scatena nei dirigenti un’incertezza estrema. E in gioco

infatti la perdita del potere di definizione, in vista di una condizione insicura e

non predeterminata. «Questo passaggio da una posizione attiva a una passiva e

legato alia paura di essere alia merce degli altri», spiega la psicologa. Ovvero,

con Ie parole di uno degli intervistati: «Se il manager non può controllare una

cosa, e un bel guaio» . In questa categoria rientrano secondo Harding anche

Ie ansie per la salute, per esempio la paura di un infarto o, nei fumatori, di

un cancro ai polmoni: I’idea di essere impotenti di fronte a una malattia e spaventosa.

Paura dell’insuccesso. Anche chi e sa lito fino ai vertici della scala gerarchica

pub soffrire di gravi ansie d’ insuccesso, anzi forse più degli altri . II

timore di non riuscire a soddisfare Ie aspettative proprie e altrui sottopone i

top manager a una pressione continua. I capi devono quotidianamente fornire alte

prestazioni, risolvere problemi di alta complessità, sotto costante osservazione

da parte di collaboratori, azionisti,media e opinione pubblica.

Si presentano quotidianamente molte occasioni di errore, e quanta più alta e la posizione

raggiunta nella gerarchia, tanto più gravi possono essere Ie conseguenze anche

di piccole disattenzioni . La paura del l’insuccesso e quindi strettamente

legata al ruolo tipico del manager, come persona capace di alte prestazioni .

La lista del le concrete fonti di paura e lunga: la responsabilità del leader, il

confronto con iI padronato, per esempio nel consiglio d’amministrazione, la

febbre della ribalta in occasione di uscite pubbliche o di grandi convegni.

Così la esprime uno degli intervistati di Harding: «II tema e sempre quello: ne sei

capace? Puoi superare I’ostacolo? Potresti sbagliare di nuovo. 0 magari Ie

tue cifre non sono giuste».

 

LA PAURA DI CADERE

I questionario mostra anche chiaramente quanto queste paure siano alimentate

da minacce, attacchi esterni,lotte intestine. Spesso il clima di lavoro

è segnato da diffidenze, distanza, invidie e competizione. Questa sensazione

continua di minaccia dà molto da fare ai manager. Uno degli intervistati la descrive

così: «Il 40% del mio tempo lo passo a guardarmi da chi cerca di farmi le

scarpe, il 30% a fare le scarpe agli altri e solo il restante 30% lo dedico al lavoro

nel vero senso della parola». Certo un impegno quotidiano di questo tipo non

contribuisce a un clima di lavoro disteso.

Anche i consulenti specializzati nel sostegno dei manager, in veste di coach

o di psicoterapeuta, si scontrano di continuo con grosse paure di insuccesso.

Osserva, per esempio, Siegfried Greif, che i dirigenti spesso stanno in bilico

«sull’orlo del caos, cosa che fa paura,causa problemi di sonno e un continuo

arrovellarsi che peraltro non aiuta affatto a risolvere i problemi ». Anche Christopher

Rauen incontra regolarmente,nel suo lavoro con i dirigenti, la paura

dell’insuccesso: «Questi timori sono frequenti, perché proprio ai livelli di

vertice le possibilità di manovra spesso non sono così grandi come si tende a

credere. I manager in queste posizioni sono costretti da vincoli di fatto, più

che governare essi stessi la situazione.

L’enorme discrepanza fra la percezione esterna del manager come uomo d’azione,

secondo le aspettative del sistema circostante, e la reale impotenza del

vissuto interiore può dar luogo a una violenta altalena di emozioni, in una

sorta di montagne russe psicologiche».

Paura per il livello di vita. Sorprendentemente,anche questa variante

della paura, stando ai risultati di Harding,ha un ruolo importante in questa

fascia privilegiata della popolazione.

La maggior parte degl i i ntervistati si è conquistata negli anni un alto livello di vita,

e teme pertanto di poter perdere di nuovo ciò che è stato faticosamente ottenuto.

«Benché per chi guarda da fuori possa essere difficile da concepire, la

paura di precipitare nel nulla e finire in miseria è molto diffusa fra i manager.

Il possesso materiale non protegge da questo timore, al contrario: chi possiede

molto, ha molto da perdere», osserva Rauen. Qui non si tratta solo di cose

materiali, perché allo status è legata anche un’immagine su cui il manager

costruisce la propria identità, come spiega Harding.

Quindi la paura della perdita di status, quasi di una “morte

sociale”, lo accompagna costantemente.

Gli intervistati manifestano più che altro indirettamente la paura di sprofondare

nell’impotenza e nell’anonimato.

Come consolazione c’è il fatto che con l’età, via via che lo status raggiunto

si consolida, questa paura diminuisce, come risulta dai protocolli raccolti da

Harding. Aspetti come lo status, l’immagine di sé, l’identità e la costante controllabilità

della situazione hanno quindi una parte importante nelle paure dei manager.

Fin qui la diagnosi. Ma la questione più importante è trovare un rimedio duraturo,

se queste ansie superano il livello di guardia e, invece di essere funzionali

come segnali di allarme nella vita quotidiana, diventano nocive. Come regola

empirica, secondo Rauen, ansie e paure richiedono una terapia non appena

limitano le capacità di autoregolazione della persona , a tal punto che l’ansia

diventa il fattore decisivo. A parte la sofferenza dell ‘interessato, comunque,

la questione diventa grave quando le paure represse o rimosse del capo si ripercuotono

sui collaboratori.

QUALI STRATEGIE CONTRO

L’ANSIA DEI MANAGER?

Gabi Harding propone anzitutto un diverso approccio a queste paure,

per iI bene non solo dei manager che ne soffrono, ma dei collaboratori

e dell’impresa. La responsabilità a suo avviso tocca proprio ai capi : «I

dirigenti al vertice della gerarchia hanno la possibilità di creare nell ‘impresa

un clima favorevole a un atteggiamento più aperto e disponibile verso il tema

dell’ansia e delle paure». È urgente un allentamento di quel tabù. Tuttavia finora

non si conoscono iniziative che affrontino apertamente il problema, portando

avanti una discussione sui rischi che comporta. In ultima analisi tocca

Delle loro paure i capi parlano molto malvolentieri: preferiscono sempre

parlare di “stress” o di “superlavoro” al singolo manager affrontare la cosa,

cercando il sostegno di un coach o di uno psicoterapeuta .

Lo stesso Harmut Ostrowski, nell’intervista citata all’inizio,

dichiarava di aver temporaneamente tenuto a bada le sue ansie ricorrendo

a colloqui terapeutici , cure farmacologiche e attività fisica.

Parlare apertamente delle proprie paure, peraltro, è un’abitudine tutt’altro

che diffusa ai vertici aziendali . Harding ha notato che i manager affrontano

molto malvolentieri il tema con i colleghi. La cosa continua a essere considerata

un segno di debolezza: chi confessa le sue paure si espone indifeso agli

attacchi, per cui è più comodo indossare una maschera di finta sicurezza.

Se poi si deve ammettere che esistono dei problemi, di regola si preferisce parlare

di “stress” o “superlavoro”. Osserva in proposito Siegfried Greif che in questi

casi si tende piuttosto a mettere in primo piano  sintomi somatici, come l’ipertensione,

che meglio si adattano all’immagine di sé e sono generalmente più accettabili.

Nei rari casi in cui qualcuno si decide a parlare delle sue paure, lo

fa semmai con un vecchio amico al di fuori dell’ambiente di lavoro o, più raramente,

con la compagna, come ha rilevato Harding nelle sue interviste.

METTERE IN CONTO L’IMPONDERABILE

Quali strategie adottano allora i manager in questi casi, e quali

sono davvero efficaci? Harding ha evidenziato approcci diversi. Anzitutto

certe misure concrete nella gestione aziendale, che attenuano la pressione

esterna. Per esempio, ridurre la dipendenza dai creditori, che possono

esercitare un controllo pesante sulle decisioni da prendere: ciò aumenta la capacità

di manovra e combatte il timore di essere alla mercé di altri. Un’altra è

la strategia di prepararsi particolarmente bene in vista di scadenze importanti,

in modo da ridurre l’insicurezza, magari con l’aiuto di un training specifico

per la comunicazione e l’uso dei media.

Inoltre, alla riduzione delle ansie possono contribuire l’esperienza di riuscire

a eseguire anche compiti impegnativi,poter contare su una rete personale di

sostegno, coltivare interessi anche al di fuori del lavoro e del ruolo professionale,

ma anche aspetti organizzativi come iI controllo dei rischi e la delega delle responsabilità.

La varietà stessa dei provvedimenti ci dice chiara una cosa: a esser chiamato in causa non è solo il singolo individuo, ma l’organizzazione aziendale nel suo complesso.

Anche una psicoterapia può essere d’aiuto, ma di fronte a stati ansiosi acuti

o cronici i manager spesso preferiscono rivolgersi a un coach piuttosto che a

un terapeuta, perché nel loro ambiente è una pratica più accettata.

Il coach, in quanto estraneo neutrale, può essere una figura importante per un colloquio

aperto. Secondo l’esperienza di Greif in questo campo, tuttavia, non sempre è

utile affrontare direttamente con il cliente il tema della paura: può essere meglio

ricorrere a eufemismi, parlando piuttosto di “imprevedibilità” o di “complessità

della situazione”. In tal modo «si possono sviluppare strategie per fare i conti

con gli imprevisti, gestire lo stress e correggere gli errori, riconoscere i comportamenti

controproducenti e cambiarli”.

Inoltre Greif insegna tecniche di autorassicurazione, esercizi di rilassamento

(anche con il bio feedback) e altri metodi utili per attivare le risorse positive. Molti

dei suoi clienti devono soprattutto imparare a non sentirsi responsabili di tutto e

a coltivare un sano orgoglio per ciò che realmente riescono a fare.

Tutte queste prospettive peraltro sono indicate non solo per chi ha già raggiunto

una posizione alta nella gerarchia aziendale ed è vittima delle tipiche

angosce del capo, ma anche per i giovani che aspirano a una carriera: quanto

prima e quanto più a fondo si è sensi bilizzati ai rischi insiti nei ruoli dirigenziali,

tanto più è facile farci i conti quando sarà il momento.

Titolo Originale << Die Angst des Chefs >>, Pyschology Heuite Giugno 2014 , 64.69 traduzione di Gabriele Noferi.

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